Trasferimento volontario? Solo sulla carta, a quanto pare. Perché, stando alle diverse segnalazioni pervenute al capogruppo dem Fabio Pizzul, Regione Lombardia, per la riattivazione del cosiddetto ospedale in fiera di Milano, sta operando forti pressioni su medici e infermieri affinché si trasferiscano da altri ospedali.
“È stato evidente fin dall’annuncio del progetto, all’inizio del mese di marzo, che il principale problema sarebbe stato quello del reperimento del personale necessario per il suo funzionamento. La delibera con cui si riapre, di fatto, la struttura, prevede il coinvolgimento di ben undici ospedali della regione, con precisazione riguardo la necessità di reperire personale qualificato, a fronte di una disponibilità, preferibilmente, in forma volontaria. Ci sembra che ci sia stata una grande sottovalutazione del possibile impatto di questa scelta sugli ospedali chiamati in causa. Ci risulta anche che la volontarietà del coinvolgimento sia solo sulla carta e che ci siano forti pressioni sul personale e sulle strutture che non contribuiscono certo a creare i presupposti per una buona gestione dell’emergenza”.
“Comprendiamo la difficoltà di reperire nuovo personale adeguatamente formato e specializzato -aggiunge Pizzul – ma siamo molto preoccupati per le segnalazioni che ci stanno arrivando e per una modalità di gestione dell’intera operazione ospedale in fiera che pare più funzionale a giustificare l’intero progetto che a fornire un reale e decisivo contributo all’emergenza. Anche l’eventuale coinvolgimento di specializzandi non fa che alimentari i dubbi riguardo il livello di assistenza che la struttura deve essere in grado di garantire e quali pazienti sia destinata ad accogliere. Ci chiediamo se la questione non potesse essere gestita in modo diverso e preparata nei mesi in cui la struttura è stata chiusa”.
“Se, come ci pareva di aver capito, la struttura in Fiera era stata individuata come parte del sistema di emergenza della Protezione Civile Nazionale, perché non ci si è attivati per chiedere che da lì arrivasse un contributo decisivo a livello di personale? Non vorremmo che la foga autarchica della Lombardia avesse creato più problemi che vantaggi” conclude il capogruppo dem.
Rimane alta la preoccupazione tra i vari territori – da Cremona a Bergamo e da Varese a Mantova – ma il caso che ha suscitato più agitazione nella Città metropolitana è quello di Sesto San Giovanni, dove addirittura si teme fortemente per la sopravvivenza stessa del Pronto Soccorso.
A lanciare per primo l’allarme è stato Pietro Bussolati, subito smentito dall’assessore Gallera che però non ha fornito alcuna garanzia, affermando di non aver ancora preso alcuna decisione in merito.
“Nessuno sa – sottolinea il vicepresidente del Consiglio regionale Carlo Borghetti che in proposito ha presentato un’interrogazione insieme alla consigliera Carmela Rozza– come questi servizi saranno assicurati, né sono state espresse garanzie sul ripristino, non appena possibile, delle attività sospese o spostate: su questo, a partire dal pieno ripristino del pronto soccorso, abbiamo chiesto a Gallera precise e tempestive garanzie”.
“Ovviamente- conclude Borghetti- nessuno sottovaluta la gravità dell’emergenza Covid, ma è inconcepibile, a 8 mesi dall’inizio della pandemia, agire chiudendo servizi essenziali senza alcuna programmazione. È preoccupante che a Palazzo Lombardia, dopo lo smantellamento della sanità territoriale di questi anni, si continui a navigare a vista anche sulla riorganizzazione della rete ospedaliera ”.