Roberta Vallacchi dopo l’audizione in commissione Carceri chiesta in seguito al sopralluogo effettuato nell’istituto penitenziario meneghino
VALLACCHI E BOCCI (PD): “SERVONO PIÙ POSTI IN COMUNITÀ PER LE PENE ALTERNATIVE, MEDIATORI CULTURALI E PROGETTI CONTINUATIVI”
“I numeri della casa circondariale San Vittore di Milano sono agghiaccianti: 1.100 detenuti per 700 posti disponibili, il 70% sono stranieri, in prevalenza provenienti dal Maghreb, il 20% appartengono a una fascia di età tra i 18 e i 25 anni. I tossicodipendenti certificati sono 600. Sono più di 20 gli ingressi al giorno. Tutti in attesa di giudizio. Mancano almeno 150 agenti di polizia penitenziaria. E la struttura non garantisce né spazi, né salubrità: abbiamo visto con i nostri occhi che i muri delle stanze per i colloqui sono talmente corrosi dalla muffa che a forza di interventi di ripulitura ormai si vedono i mattoni. Due raggi sono inutilizzabili perché pericolanti. Come istituzioni dobbiamo assolutamente fare qualcosa”, lo dice Roberta Vallacchi, consigliera regionale del Pd, che ha recentemente partecipato a un sopralluogo nell’istituto penitenziario meneghino e che, assieme alla collega Paola Bocci, ha chiesto un’audizione in Commissione Carceri, di cui fanno entrambe parte, con la direzione del carcere, l’Asst Santi Paolo e Carlo e le Direzioni generali preposte della Regione.
“Dopo la visita, abbiamo pensato che sarebbe stato importante portare tutti gli attori in Commissione per cercare di avere le risposte e chiedere loro di attivarsi. Quindi, abbiamo parlato della questione della salute mentale, del grande e centrale problema dei mediatori culturali e soprattutto, per quanto riguarda le tossicodipendenze, dei posti nelle comunità terapeutiche per le pene alternative. Secondo noi, tutti coloro che possono usufruire di una pena alternativa, devono poterlo fare. E se nelle comunità non ci sono posti, bisogna fare in modo che vengano creati, come abbiamo chiesto alla Regione. Quindi servono posti nelle comunità, percorsi terapeutici adeguati, spazi interni per poter fare attività formative e di svago”, spiega Vallacchi.
“C’è anche la questione del codice fiscale che va dato anche a chi non ha documenti. Attualmente, viene attribuito a chi ha delle patologie, ma serve a tutti perché chi sta bene deve poter lavorare all’esterno. Quindi c’è la necessità di investire molto su percorsi di accompagnamento al lavoro, sulla formazione, in particolare per la popolazione femminile, che è ancora più residuale nell’ambito del lavoro esterno al carcere. Ed è chiaro che finché c’è solo una parte di persone detenute che ha la possibilità di avere il codice fiscale, viene data la priorità a chi ha delle patologie, invece è utile a tutti. Fa parte dei percorsi di recupero assolutamente necessari”, conclude Bocci.
Milano, 11 aprile 2025