La vita ai tempi del coronavirus è difficile, anche se gestibile. Inutile negarlo. È complicato accettare di essere passati dalla libertà totale a una libertà limitata. Si fatica a comprendere che qualcosa di nuovo, di sconosciuto, di potenzialmente pericoloso si è insinuato nelle nostre vite. Molti di noi si sono adeguati: hanno ridotto la socialità e deferito il deferibile, nel nome della responsabilità collettiva. Altri sono scettici, protestano, gridano alla follia, sono sprezzanti nei confronti dei provvedimenti di Governo e Regioni. E pure delle opinioni di medici e scienziati. Mi spiace, ma è bene ribadire che le ordinanze si recepiscono, si eseguono, non si discutono. In democrazia funziona così. Il tempo ci dirà chi ha avuto ragione. Anche se è del tutto evidente che se fossimo di fronte a una banale influenza stagionale forse non avremmo adottato misure draconiane. Ne’ noi, che siamo piccoli, ne’ la Cina che è numericamente ed economicamente più pesante.
Il Covid-19, il nome tecnico di questa infezione, ha messo in circolo i nostri incubi peggiori. Ma la paura, che è naturale e comprensibile, va governata, non deve diventare panico. In questo dobbiamo tutti fare un grandissimo sforzo e attingere alla nostra razionalità più profonda. Affidiamoci alla scienza. L’Organizzazione mondiale della Sanità ha raccomandato di non sottovalutare ma nemmeno di sopravvalutare. Siamo di fronte a un virus contagioso, come o più dell’influenza, e per combatterlo non abbiamo sufficienti anticorpi o vaccini. Ma, per fortuna, il nemico non è letale. Dati alla mano, su 100 persone che si infettano 80 guariscono spontaneamente, 15 hanno problemi gestibili con trattamenti e 5 hanno problemi più gravi. Tra questi ultimi, i decessi sono la metà e in genere collegati ad altre patologie pregresse. Insomma, lo possiamo sconfiggere. In un futuro molto prossimo arriveremo ad avere anche un vaccino, ma ora l’unica nostra difesa è il contenimento. Dobbiamo arginarlo. Dobbiamo proteggere i più deboli, quel 5 per cento che potrebbe avere seri problemi. Non possiamo rischiare di diffondere l’infezione velocemente, di colpire più persone dei posti disponibili in ospedale. Non possiamo mettere troppo sotto stress il nostro sistema sanitario. Per questo limitiamoci, restiamo in casa più del solito, riscopriamo il valore di un buon libro, di una pizza nel forno. Con la bella stagione il virus potrebbe perdere aggressività e avremo tempo di rifarci.
E guardiamo anche i lati positivi di questa emergenza, di questa coabitazione forzata con noi stessi. Forse è finita l’epoca dell’incompetenza, dei virologi della domenica, di tutti quegli antivaccinisti che ci hanno sfiancato con i complotti orditi dalle case farmaceutiche. Credo che oggi anche i no vax si metterebbero in coda per fare il vaccino anti Covid-19, se ci fosse naturalmente. Forse è anche finita l’epoca della tuttologia: tutti scienziati, tutti ingegneri, tutti economisti, tutti statisti. I biologi, i virologi, gli epidemiologi, sono loro i nostri riferimenti in crisi. E pazienza se hanno anche opinioni differenti, se il dibattito scientifico fa scintille. Da loro possiamo anche accettarlo, anche se forse inopportuno in questo momento. Forse siamo al secondo tempo, al post sbornia dei social. Speriamo di veleggiare verso la rivincita dell’autorevolezza sulla cialtroneria.
Dobbiamo riscoprire l’intermediazione, che sia medica, scientifica, ingegneristica, scolastica. Ma anche politica. E mi riferisco a tutti quelli che vorrebbero svilire le istituzioni, che vorrebbero eliminare i politici solo perché politici. La politica serve, le istituzioni servono. Possiamo discutere sulla qualità della selezione delle classi dirigenti, certo. Ma non è ammissibile il depauperamento della nostra forma democratica. In momenti come questi, quando siamo tutti più fragili, abbiamo bisogno di competenze. E di sentirci parte di un sistema. Perché da soli, o dietro a una tastiera, non si vincono le sfide.
Gian Antonio Girelli
27 febbraio 2020