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A due mesi esatti dall’esplosione del primo caso accertato in Lombardia, cerchiamo di fare il punto su che cosa è successo nella nostra provincia, che cosa non ha funzionato e come potremo affrontare il futuro prossimo.

Sicuramente il problema è stato sottovalutato, inizialmente, a tutti i livelli, anche se qui, nella nostra provincia alle porte della prima zona rossa, abbiamo capito da subito che la situazione era diventata molto pericolosa. Infatti, appena è stato chiuso l’ospedale di Codogno, l’onda anomala è arrivata anche da noi, nei nostri ospedali che da otto settimane sono rimasti in prima linea, da soli, ad affrontare l’emergenza. Un’emergenza che persiste ancora oggi, seppur i dati, lentamente, cominciano a dare segnali confortanti.

Ma mentre si affrontava l’emergenza negli ospedali, si è dimenticato tutto il resto. Si è completamente dimenticata la sanità territoriale, smantellata dalla riforma regionale del 2015.

L’assistenza territoriale è quello che hanno chiesto fin dall’inizio dell’emergenza anche gli operatori ospedalieri, sapendo che non poteva essere solo il ricovero dei casi più gravi la soluzione per limitare i contagi. L’attenzione alle persone, il presidio dell’isolamento sociale e l’assistenza domiciliare sono i capisaldi della gestione diffusa dell’epidemia e di un suo possibile spegnimento. Sarà strategico anche il ruolo dei Comuni e della rete assistenziale del terzo settore che speriamo non vengano trascurati nell’errata convinzione che la sanità basti a se stessa. Così come il ruolo dei medici di base, che si sentono dimenticati da Regione Lombardia e per nulla supportati, e che invece devono essere copinvolti per il potenziamento dell’assistenza domiciliare.

E’ normale commettere degli errori, ma non serve riconoscerlo e basta. Bisogna dire quali errori si sono commessi per evitare che si ripetano. Altrimenti non si può parlare di ripartenza. Non dobbiamo dimenticare che siamo il primo territorio con il più alto numeri di contagi in rapporto alla popolazione e il secondo territorio, dopo Bergamo, per aumento di mortalità.

Dobbiamo ripartire da qui, da quello che negli ultimi anni è stato purtroppo programmaticamente distrutto dalla politica sanitaria del governo di questa regione. Lo abbiamo previsto, come gruppo consiliare del PD, anche in un nostro piano per la fase 2, la cosiddetta ripartenza, che prevede di mettere in rete, con una piattaforma di telemedicina, tutti i medici di base, di incentivare l’aggregazione tra di loro in cooperative che possano meglio gestire la presa in carico dei pazienti cronici e il potenziamento delle cure al domicilio, di rafforzare le risorse umane dei dipartimenti di prevenzione e dei servizi di medicina del lavoro. E soprattutto di potenziare le Usca, le unità che seguono i pazienti Covid a domicilio, che oggi sono troppo poche, un numero risibile rispetto alla nostra popolazione. Nella nostra provincia, che conta 360mila abitanti, sono solo 3 e mezzo, cioè Crema, Soresina, Cremona e Viadana, che copre il casalasco, con circa 8 medici. Serve almeno un unità ogni 50mila abitanti, così come prevede la circolare del ministero della salute.

Per poter ripartire è necessario governare l’infezione e per poterlo fare ci vuole un presidio sanitario territoriale capillare e funzionale.

All’emergenza sanitaria si affianca, speculare, quella economica e la nostra proposta prevede la costituzione, urgente, di una cabina di regia in ogni provincia che, unendo politica e scienza, costruisca un piano industriale regionale completamente nuovo che tenga conto delle peculiarità di tutti i territori a livello provinciale, dando quindi priorità, anche con misure specifiche, ai territori più colpiti, come il nostro. Perché non tutti i territori sono stati colpiti allo stesso modo.

 

Ma queste sono le nostre proposte. Dal canto suo, Regione Lombardia che cosa fa?

Sono due mesi che, come gruppo consiliare del PD chiediamo ai presidenti di Giunta e Consiglio, di approfondire molte questioni riguardanti la gestione di questa emergenza, offrendo tutta la nostra disponibilità. Il sistema sanitario lombardo, a quanto pare, non ha risposto adeguatamente alla sfida e, alla luce di quanto è successo in queste settimane, la legge regionale va rivista. Abbiamo inviato innumerevoli lettere, presentato mozioni, interrogazioni, proposte di risoluzione. Ma nulla, nessuna risposta, nessuna approvazione. E così, insieme alle altre forze di minoranza, abbiamo presentato lo scorso 15 aprile le firme necessarie per richiedere una Commissione d’inchiesta. Non un tribunale, ma un luogo dove fare chiarezza.  Perché tanti morti? Perché è stato così difficile tracciare un’epidemia che qui si è manifestata in modo così virulento? Perché non sono stati protetti operatori sanitari e RSA?

Non basta dire che “c’è stata una bomba atomica”. Certamente la gravità della situazione ha molte cause, ma in Lombardia dobbiamo capire e sapere cosa è avvenuto e come fermare il contagio quanto prima.

Un atto di chiarezza, dunque, nell’interesse dei cittadini lombardi. Un atto di rispetto per coloro che ci hanno lasciato e per i familiari.

Accertare gli errori perché non siano ripetuti, anche in vista di un’apertura graduale di una fase 2 o anche di fronte ad una eventuale ricaduta. Dovremo trovarci pronti, questa volta, con le scelte corrette.

 

Matteo Piloni

Consigliere regionale del Partito Democratico

 

 

Milano, 21 aprile 2020

PD Regione Lombardia