Il gruppo regionale del Pd ha presentato una mozione che sarà discussa durante la prossima seduta di consiglio, martedì 3 novembre, per chiedere un vero e proprio piano regionale per le Residenze Sanitarie Assistenziali lombarde.
“Vista la tendenza esponenziale della curva dei contagi e data la fragilità della popolazione anziana, soprattutto quella ricoverata nelle case di riposo – spiega Angelo Orsenigo firmatario della mozione – vogliamo impegnare la Giunta lombarda a predisporre fin da subito un piano che preveda innanzitutto la possibilità di testare, almeno una volta alla settimana, tutto il personale di servizio, sociosanitario e non, e tutti gli ospiti; che individui, poi, le strutture di supporto per trattare gli anziani positivi, qualora le Rsa non abbiano gli spazi e adeguati ricoveri ospedalieri per gli anziani più gravi”.
“Il piano deve inoltre prevedere, senza troppe formalità burocratiche, la possibilità di offrire consulenze e supporto da parte di medici specialisti ospedalieri – aggiunge Orsenigo – e, in base all’andamento epidemiologico della struttura e alla possibilità di effettuare test rapidi in ingresso, dovrebbe anche rendere possibile, in modo graduale, le visite, in assoluta sicurezza, dei parenti. Oltre a garantire la fornitura dei dispositivi di sicurezza individuali, la Regione deve anche versare, entro la prima metà di novembre, i contributi previsti nel budget 2020 e non ancora versati per i posti letto rimasti vuoti a causa della pandemia, a parziale ristoro delle maggiori spese sostenute durante l’epidemia Covid-19. È necessario e urgente che Regione Lombardia, in questa seconda ondata di ripresa del virus, intervenga al più presto, per prevenire e controllare le infezioni in queste strutture, per evitare che si ripeta il dramma della scorsa primavera”.
“Davanti a una seconda ondata è inoltre imperativo che Regione attivi dei piani di continuità assistenziale diffusa sul territorio. Regione deve subito mettere a disposizione tutti gli strumenti perché gli anziani o i malati cronici, per esempio, possano essere assistiti al loro domicilio da infermieri di comunità o di famiglia, senza doversi spostare con il rischio di esporsi al contagio. Questo vale però per tutti i pazienti, indipendentemente dall’età o dalla condizione di salute. Pensiamo alla quantità di codici minori, bianchi o verdi, che affollano i pronto soccorso comaschi. Questi potrebbero e dovrebbero essere assistiti a casa evitando che le sale d’attesa degli ospedali diventino dei focolai. Per questo Regione deve muoversi in fretta per colmare le proprie lacune: non dimentichiamo che le Unità Speciali di Continuità Assistenziale (Usca) a Como sono incredibilmente sottodimensionate: ne abbiamo 3 invece delle 12 previste per legge. Per i cittadini ripiegare sui pronto soccorsi è quindi inevitabile – conclude Orsenigo – Infine, serve un modello di medicina di prossimità applicato anche alle scuole, dove un infermiere o uno specialista medico è necessario non solo per poter rispondere alle necessità dei ragazzi in tempi di Covid ma per favorire l’educazione alla salute e alla prevenzione tra le nuove generazioni”.
Milano, 30 ottobre 2020