Gli ospedali di territorio, quelli più vicini ai cittadini, come il Mandic di Merate, rispondono meglio ai bisogni delle comunità e quindi devono rimanere in vita. Ma possono farlo solo se nei fatti non li si depotenzia e se ciascuno di essi diventa riconoscibile per alcune specialità che vi vengono svolte. È questo il cuore dell’intervento di Raffaele Straniero, consigliere regionale del Pd, stamattina, in Aula, durante la maratona sulla riforma sanitaria.
“La specializzazione dei presidi ospedalieri, in particolare quelli classificati come Dea di primo livello, è un tema che mi sta particolarmente a cuore, ma credo che dovrebbe essere condiviso da tutti i colleghi, anche di maggioranza, soprattutto da quelli che provengono dai territori di provincia dove questi nosocomi sono fondamentali”, ha ribadito Straniero.
Per questo il Gruppo regionale del Pd ha presentato uno specifico ordine del giorno che il consigliere lecchese ha illustrato: “Non sfuggono a nessuno due elementi che difficilmente stanno insieme: da una parte l’importanza, per un sistema sanitario realmente prossimo al cittadino-paziente, di presidi ospedalieri sul territorio, che devono essere potenziati, resi stabili e anche ‘appetibili’. Dall’altra, la difficoltà a mantenere queste caratteristiche, per due ragioni fondamentali: la tendenza ad accentrare le funzioni più specialistiche e caratterizzanti negli ospedali hub e il fatto che spesso presidi ospedalieri contermini fanno in realtà le stesse cose e dunque possono costituire uno spreco e un doppione”.
Quale la soluzione per Straniero e il Pd? “Una riorganizzazione del sistema degli ospedali lombardi secondo una visione di insieme, che punti a sviluppare per ciascun presidio alcune specialità in modo da innalzare la qualità dell’offerta sanitaria di un territorio, tenendo insieme secondo una visione integrata il ruolo dei medici di base, delle case di comunità e dei reparti ospedalieri”.
Insomma, il primo passo per una vera e propria ricostruzione della sanità territoriale: “Serve un modello realizzato sull’organizzazione della risposta ai bisogni delle persone, non su criteri esclusivamente economici. Un servizio che, nel bilanciare le richieste dei singoli e quelle delle comunità, sia attrezzato a governare situazioni di emergenza, come quelle connesse a epidemie e pandemie, ma anche alla presa in carico di persone con malattie croniche, con presenza di due o più malattie, fragili o con disabilità, in un’ottica di cooperazione tra differenti comparti del servizio sanitario nazionale e di coordinamento tra i diversi livelli di governo del personale – ha spiegato Straniero –. Sto parlando di uno sviluppo rapido di un sistema capillare di medicina del territorio al fine di ricomporre la continuità fra prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione, servizi vicini alla persona e alla sua comunità. Insomma, risposte a tutti i bisogni”.
Un’integrazione socio-sanitaria, dunque, che parta dai Distretti, oggi ridotti a una semplice istituzione formale, ma che dovrebbero, invece, costituire l’articolazione territoriale delle Aziende sanitarie, essere dotati di autonomia organizzativa, occuparsi di governo della domanda, costruzione dei percorsi di presa in carico e organizzazione e coordinamento dei servizi territoriali sanitario-assistenziali.
E in una “riorganizzazione così programmata, come ha detto bene Anci, i Comuni non sono spettatori ma protagonisti. Alle assemblee dei sindaci deve essere attribuito un compito di programmazione sociosanitaria e di valutazione dell’operato dei direttori generali delle Asl, esercitando un ruolo attivo nelle decisioni che riguardano l’assistenza nel territorio che amministrano. Deve essere istituito un Comitato di indirizzo regionale, per l’interlocuzione e la formulazione di proposte verso le Agenzie regionali, che possa esprimere pareri anche vincolanti”, ha concluso Straniero.
Milano, 17 novembre 2021