Le classifiche delle province italiane sull’indice di salute – ultima in ordine di tempo quella del Sole24Ore – che derivano dall’incrocio di alcuni indicatori quali gli indici demografici, i fenomeni socio-sanitari e livelli di accesso ai servizi sanitari, concordano nel posizionare Lodi e la sua provincia appena al di sopra della sufficienza. Nonostante la Lombardia, alla voce sanità in senso largo, sia sul podio delle regioni italiane, il sud della regione non decolla. Dati alla mano, su 107 province Mantova è all’86esimo posto, Lodi al 51esimo, Pavia al 43esimo. Solo Cremona acquista posizioni piazzandosi al 25esimo gradino. E’ evidente, dunque, che esiste una criticità che riguarda la nostra provincia e le limitrofe.
Lo studio non ci sorprende perché già da tempo sappiamo che in Lombardia, soprattutto nelle città più importanti, l’indice di salute raggiunge punte di eccellenza. Primati che vengono garantiti sia dalla qualità della rete ospedaliera e dal livello di innovazione dei tanti centri di ricerca e di cura, sia dalla elevata compliance dei pazienti e dalla disponibilità di risorse, anche private. Quello che invece penalizza tante nostre realtà è l’indicatore relativo ai medici di medicina generale e ai pediatri: infatti stiamo agli ultimi posti. Quindi, mentre la cura ospedaliera è molto sviluppata e dà fiducia ai cittadini (tanto che la mobilità in uscita dei pazienti è minima), la rete territoriale è ancora da sviluppare. E qui sta il punto, perché è proprio questo l’indice che consentirebbe di affrontare in modo più efficace le malattie croniche e le cure intermedie. Uno degli indicatori che manca, dal mio punto di vista, è proprio il ricorso al pronto soccorso: ma solo confrontando e incrociando i dati su medicina territoriale e medicina ospedaliera si potrebbe confermare, o in caso smentire, questa tesi.
Nel nostro Paese, negli ultimi anni, si sono verificati cambiamenti importanti, come quelli epidemiologici, e le scoperte scientifiche hanno permesso di vincere sfide che sembravano quasi impossibili. Oggi quindi all’aspettativa media di vita di chi nasce nella parte più ricca del pianeta, che è di circa 78 anni ed aumenta di due anni ogni decennio, si somma, grazie alle recenti terapie e agli interventi chirurgici di nuova generazione, il crescente numero di pazienti cronici e non autosufficienti – con la conseguente richiesta di cure riabilitative. All’allungamento della vita fa da contraltare, purtroppo, il crollo delle nascite.
Se dunque è vero che la riforma Sanitaria del 2015 intende segnare il passaggio dalla cura al prendersi cura, tradotto si potrebbe dire meno ospedale e più territorio, di fatto il percorso si sta rilevando difficile e molto in salita soprattutto nelle realtà come le nostre. Pérché irrobustire la rete territoriale significa sì spostare risorse, ma anche preoccuparsi di modificare in modo strutturale il sistema e culturale l’approccio ai malati.
Tutto questo ha reso indispensabile la rivisitazione dei presidi sui territori, ben 105 in Lombardia e 4 nella sola provincia di Lodi, un sistema che oggi non risponde più alle nostre esigenze: se un tempo infatti si poteva ricorrere alle cure in tutto il territorio, oggi le parole d’ordine sono diventate ‘appropriatezza e specialità’. Pertanto, è importante ridefinire una rete territoriale capillare per i servizi di prevenzione, diagnosi e cura, con l’alta specialità concentrata nei centri più strutturati. Oggi dunque servono scelte coraggiose e cambiamenti che la politica ha il compito di governare e il dovere di guidare, a volte ingenerando anche qualche sofferenza. Ma credo che questo percorso sia ormai obbligato.
Patrizia Baffi
Vicecapogruppo PD e Componente della Commissione Sanità
Milano, 22 maggio 2019