La provincia di Varese è ricompresa nella ATS dell’Insubria i cui dati sono leggermente superiori, pur rimanendo negativi: i pazienti che hanno sottoscritto un PAI sono solo 49.255 su 433.496 cronici, pari all’11,36%.
La presa in carico dei pazienti cronici, fortemente voluta dalla giunta regionale, è un grande fallimento. Dopo più di un anno dal coinvolgimento dei pazienti potenzialmente interessati sono 215.455 i “piani assistenziali individuali” (PAI) ad oggi sottoscritti: significa che solo il 7,1% dei circa 3 milioni di cittadini a cui è stata inviata, a gennaio 2018, la lettera con cui la Regione li invitava ad aderire alla nuova forma di presa in carico da parte del sistema sanitario regionale, ha scelto questo nuovo percorso. È quanto si desume dai dati forniti oggi dall’assessore al Welfare Giulio Gallera in commissione sanità, aggiornati al 12 febbraio.
La provincia di Varese è ricompresa nella ATS dell’Insubria i cui dati sono leggermente superiori, pur rimanendo negativi: i pazienti che hanno sottoscritto un PAI sono solo 49.255 su 433.496 cronici, pari all’11,36%.
“La Regione sui cronici ha fallito, nonostante il grande impegno di alcune cooperative di medici, e i numeri lo testimoniano – dichiara il consigliere regionale del PD Samuele Astuti -. Il nuovo percorso non piace ai medici nemmeno con le nuove regole con cui la giunta ha cercato di correre ai ripari, tanto che i numeri di adesione sono rimasti invariati da giugno dello scorso anno ad oggi. Ancora meno sono convinti i cittadini che evidentemente non ritengono di affidarsi a un solo gestore per la cura della propria patologia. I presupposti della riforma sanitaria sono giusti e condivisibili, il problema è la sua frettolosa e approssimata implementazione. La Regione è partita senza aver ottenuto la piena condivisione dei medici e senza avere davvero pronto nemmeno il sistema informativo. Tutto ciò ha generato un forte clima di diffidenza che sta portando al flop attuale. Manca ancora in Lombardia, nonostante fosse un principio della riforma, la medicina di territorio, il che significa che i cittadini continuano ad andare in ospedale per le cure, anche quelle che dovrebbero poter ottenere in strutture meno complesse e più vicine a casa.”
Milano, 20 febbraio 2019