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1978-2018, 40 ANNI DI SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE

BAFFI (PD): “UN SISTEMA VALIDO CHE RISCHIA DI IMPLODERE, DOBBIAMO SALVARLO!”

“I primi 40 anni del nostro Servizio sanitario nazionale dove ci hanno portato? A che punto siamo?” Patrizia Baffi si interroga, tratteggiando, in breve, i punti nodali che hanno caratterizzato il percorso storico e politico del nostro sistema sanitario.

“Dagli enti mutualistici, istituiti nel secondo dopoguerra e suddivisi per le diverse categorie di lavoratori, si passò, con la legge 833 del 23 dicembre 1978, al Servizio Sanitario Nazionale che conosciamo ancora oggi e che inaugurò un nuovo sistema pubblico di carattere universalistico. Un sistema che garantisce l’assistenza sanitaria a tutti i cittadini e che è finanziato dallo Stato attraverso la fiscalità generale, Irap e Irpef, e attraverso le entrate dirette: i ticket sanitari”.

“Più nel dettaglio, sono quattro le fonti del finanziamento del fondo sanitario nazionale: le entrate e i ricavi propri delle aziende sanitarie, la compartecipazione da parte delle regioni a statuto speciale, l’Irap e l’Irpef. Il 97,95% delle risorse stanziate è dedicato ai Livelli essenziali di assistenza (Lea) che a loro volta sono ridistribuiti destinando il 5% alla prevenzione, il 45% all’assistenza ospedaliera e il 50% ai distretti territoriali”.

“In base al principio di sussidiarietà, il servizio sanitario è articolato su diversi livelli: lo stato assicura a tutti i cittadini il diritto alla salute attraverso i Lea, mentre le regioni hanno la responsabilità diretta del governo e della spesa per il raggiungimento degli obiettivi di salute dell’intero paese. Tre sono sostanzialmente le competenze esclusive delle regioni: la regolamentazione e l’organizzazione dei servizi e della attività per la tutela della salute, i criteri di finanziamento delle aziende sanitarie e degli ospedali e il controllo della gestione e della qualità delle prestazioni”.

“In Regione Lombardia, negli anni Novanta, il governo Formigoni ha introdotto il sistema del privato accreditato dando il via a una competizione che avrebbe dovuto assicurare un servizio migliore e che invece ha manifestato fin da subito le prime criticità. Una strategia che, seppur da non demonizzare, ha condotto oggi a un netto squilibrio a discapito del sistema pubblico che sembra non reggere più e che sta ingenerando nel cittadino  una percezione sempre più forte di abbandono. Tali criticità hanno spinto dunque il governo Maroni a imbastire una riforma più focalizzata sulla presa in carico”.

“Nel valutare il nostro sistema noi italiani tendiamo sempre ad essere severi, dando maggior risalto alle cose che non vanno rispetto a quelle che funzionano. Il confronto con quanto avviene in altri paesi però ci invita ad una maggiore indulgenza. Il SSN si rivela un sistema equo ed efficiente, che fornisce un pacchetto di cure essenziali all’intera popolazione. Non c’è quindi bisogno di ribaltare il sistema, ma di preservarlo riorganizzandolo alla luce dei molti cambiamenti che, nel frattempo, si sono verificati”.

“Mentre cambiavano le amministrazioni e le scelte politiche, infatti, nel nostro paese si sono verificati dei cambiamenti importanti e ineludibili che hanno coinvolto aspetti fisiologici, scientifici e lavorativi del nostro sistema sanitario. Mi riferisco ai cambiamenti epidemiologici e innanzitutto all’allungamento della vita media, al drastico calo delle nascite e all’aumento dei cronici e dei non autosufficienti. La scienza e la tecnologia hanno poi sfondato barriere che fino a pochi anni fa sembravano insormontabili, permettendo interventi che salvano e prolungano vite e contribuendo quindi anch’esse a ingrossare la platea dei cronici e ad aumentare le esigenze delle cure riabilitative”.

“Nuove cure, nuovi bisogni e dunque nuove professionalità. Un’altra evoluzione molto importante riguarda infatti proprio i medici, perché se é pur vero che vi é carenza, anche in conseguenza al numero chiuso delle università e delle diverse professionalità, é altrettanto opportuno prendere atto che oggi, anche in virtù del privato accreditato, i medici compiono scelte diverse, con contratti più liberi e che permettono una maggior gestione in autonomia e minori assunzioni di responsabilità in livelli di media e bassa intensità di cura. A questo proposito ho letto un articolo molto interessante, pubblicato su la Repubblica del 15 agosto scorso, che racconta il boom dei cosiddetti medici in affitto”.

“Tutto questo ha reso dunque indispensabile la rivisitazione dei presidi sui territori, ben 105 in Lombardia e 4 nella sola provincia di Lodi. Questo sistema oggi non risponde più alle nostre esigenze, perché se una volta occorreva trovare un po’ tutto dappertutto, oggi la parola d’ordine è diventata ‘appropriatezza e specialità’. Pertanto, è importante che i servizi di prevenzione, diagnosi e cura siano dislocati sul territorio in modo capillare, mentre l’alta specialità deve concentrarsi in centri più strutturati”.

“Dall’ultima analisi fornita dal Censis emerge però che esiste nel nostro paese una disparità notevole tra la crescita della spesa pubblica e quella privata – sia rispetto al PIL sia rispetto agli altri paesi europei – che ha una maggior incidenza sui redditi medio bassi. Cresce quindi la percezione di uno Stato che non si accolla la salute dei cittadini. Come bisogna procedere, dunque, perché questo non avvenga?”

“Contrariamente a quanto si dice, non è vero che il nostro sistema sanitario costa troppo, anzi rispetto ad altri paesi risulta sotto finanziato, cioè in Italia si spende troppo poco per la sanità e quindi o si riuscirà ad incrementare il fondo pubblico dell’1 o 2 per cento o non resta che riportare in asse lo squilibrio tra spesa pubblica e privata ridando maggior vigore alla prima”.

“Nel 2013 il Fondo sanitario nazionale era di 107 miliardi e nel 2019 si prevede una cifra che supera i 114 miliardi di euro, alla Lombardia ne vengono corrisposti 19 miliardi circa, il 70% è destinato ai malati cronici, ormai diventati i protagonisti del nostro sistema sanitario e per questo io credo che la riforma dei cronici rappresenti un cambiamento strutturale fondamentale e necessario per salvare il sistema”.

Una riforma necessaria, certo, ma che ha ancora troppe criticità e che ha avuto pochissima presa. I numeri infatti lo dimostrano chiaramente. A Lodi sono state inviate 69875 lettere e sono stati sottoscritti 143 patti di cura e raccolte 481 manifestazioni di interesse. Sarà determinante capire dove il meccanismo si inceppa per porvi rimedio e darvi progressivamente avvio perché ne va dell’intero sistema. Occorre davvero invertire la rotta, sviluppando maggiori servizi territoriali e meno ospedali, perché oggi i bisogni sono cambiati in modo esponenziale e perché deve cambiare anche la gestione del sistema. E bisogna partire dal ruolo fondamentale dei medici di base, senza i quali non può essere avviata alcuna riforma”.

“Ci vogliono scelte coraggiose e cambiamenti – conclude Baffi – che la politica ha il compito di governare e guidare, a volte ingenerando anche qualche sofferenza, come spesso accade quando si affrontano svolte significative. Credo, però, che questo sia ormai un percorso obbligato per poter salvare e dare nuova linfa ad un sistema che funziona e che tanti paesi ci invidiano: il nostro Sistema sanitario nazionale, universalistico e garante della dignità e della libertà della persona”.

Milano, 23 agosto 2018


PD Regione Lombardia